Parola paura: ALTERNANZA

Continua l'esplorazione della neo-lingua che le zanzare mediatiche tentano di inoculare nel loro pubblico.
Dopo la doverosa disquizione di ieri sull'antipolitica, termine molto in voga negli ultimi giorni, vorrei soffermarmi sulla rivisitazione della parola alternanza, un termine oramai radicato nel neo-lessico politico.

L'alternanza politica, come concetto, mi stimola sensazioni positive poiche' mi ricorda i meccanismi evolutivi che hanno permesso alle forme di vita sulla terra di raggiungere un livello di organizzazione invidiabile.
L'osservazione della natura mostra che i fantastici risultati ottenuti dall'evoluzione sono frutto del cambiamento, della combinazione di caratteristiche diverse.

Anche in politica dovrebbe essere lo stesso: l'alternanza e' un indicatore della capacita' di una democrazia di saper sfidare senza preconcetti le mutevoli sfide di un mondo che cambia sempre piu' velocemente.
L'alternanza e' anche un indicatore del potere degli elettori sugli eletti: gli eletti devono coccolare gli elettori governando proficuamente (per gli elettori), temendo che gli elettori li abbandonino in caso di insuccesso politico.

La positivita' del termine e' pero' ancora un volta irriscontrabile nella realta' italiana, nella quale la logica dell'alternanza (hanno il coraggio di chiamarla cosi'), prevede che nelle ultime 4 elezioni si siano avvicendate al Governo gli stessi schieramenti.
L'elettorato, deluso da chi era al potere, non ha potuto fare che altro che scegliere chi nella legislatura precedente e' stato all'opposizione.
Nelle ultime elezioni ci e' pure stato impedito di esprimere le preferenze, limitando la nostra possibilita' di decidere chi far sedere in Parlamento.

Questa (il)logica dell'alternanza ci getta in balia di un gruppo di eletti che cooperano per mantenere il loro sistema di privilegi, passandosi il testimone senza nessuna evoluzione positiva del Paese e per i propri cittadini.

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